Simone Weil Francesco d' Assisi |
Quale similitudine può esserci tra il figlio del commerciante di tessuti di lana che visse ad Assisi all'inizio del tredicesimo secolo e la sindacalista che nel ventesimo secolo fra le due guerre mondiali, chiede una risposta all'interrogativo posto dall'esistenza del dolore umano? Cosa hanno in comune il Santo patrono d'Italia e la Rivoluzionaria professoressa di filosofia, che mai vinse del tutto la sua reticenza nei riguardi della dottrina ecclesiastica? Per quale ragione numerosi storici e studiosi hanno accostato Simone Weil a San Francesco d'Assisi?
San Francesco d'Assisi e Simone Weil sono due anime inquiete e idealiste, caratterizzate da una sete profonda di verità di fronte al dolore e alle contraddizioni dell'esistenza.
Due anime ipersensibili e anticonformiste che davanti a disparità e ingiustizie non possono accontentarsi della risposta di chi dice loro: "Così va il mondo!", costringendoli a farsi complici di un'indifferenza collettiva ma non per questo meno pesante.
Francesco e Simone si riconoscono in dovere verso ciascun individuo e verso l'essere umano in quanto tale. Entrambi provengono da famiglie borghesi benestanti ma scelgono di trascorrere la vita assieme agli ultimi, schierandosi sempre e comunque dalla parte dei poveri, dei reietti, degli emarginati, di tutti coloro che agli occhi del mondo non hanno valore.
Il ricco ragazzo di Assisi abbandona lussi, comodità e sicurezze per trascorrere il suo tempo in compagnia di lebbrosi, la colta filosofa sceglierà di stare al fianco delle vittime delle ingiustizie sociali del 900, operai e braccianti.
Un'altra caratteristica che li accomuna è l'amore entusiasta per il creato, Simone come Francesco, è innamorata della vita:
"Non siate ingrati verso le cose belle. Godete di esse, sentendo che durante ogni secondo in cui godete di loro, io sono con voi...Dovunque c'è una cosa bella, ditevi che ci sono anch'io...Mi sembra duro pensare che il rumore del vento tra le foglie non sia un oracolo; duro pensare che il coro delle stelle nei cieli non canti le lodi dell'Eterno".
Simone Weil fece propria la massima terenziana «Niente di quello che è umano mi è estraneo» e confessò di provare una crescente lacerazione dovuta all'incapacità di pensare insieme la sventura degli uomini e la perfezione di Dio.
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Tanto per Francesco come per Simone è centrale il problema della tormentata relazione fra l'anima e Dio, tra il desiderio di pienezza e la sofferenza dell'uomo. Ma sarà proprio la sofferenza ad avvicinarli a loro grande amore, amore che più di ogni altra cosa li accomuna, Gesù Cristo.
Ci sono stati alcuni che sono arrivati a Cristo partendo dall’amore per i poveri e vi sono stati altri che sono arrivati ai poveri partendo dall’amore per Cristo; Francesco appartiene a questi secondi, Simone ai primi.
Papa Paolo VI nel considerare la pensatrice come una delle figure più influenti sulla propria vita, affermerà di dispiacersi per il suo mancato approdo al battesimo, in quanto meritevole di essere proclamata santa.
lo storico Vittorio Messori coglierà nella Weil una mistica della libertà, secondo la quale «nessuno ha amore più grande di colui che sa rispettare la libertà dell'altro».
La Weil ritiene che il compito di ogni uomo sia portare un autentico spirito di verità nella vita, di seguito desidero condividere alcuni dei suoi scritti:
« Quando, ancora nell'età dell'adolescenza, ho letto per la prima volta il Capitale, alcune lacune, talune contraddizioni di grande importanza mi sono subito saltate agli occhi. [...] negli anni successivi, lo studio dei testi marxisti, dei partiti marxisti o sedicenti tali, e degli avvenimenti stessi non ha potuto che confermare il giudizio della mia adolescenza.»
« La parola Dio non aveva alcun posto nei miei pensieri. Lo ha avuto solamente a partire dal giorno [...] in cui non ho potuto rifiutarglielo. In un momento d'intenso dolore fisico [...] ho sentito, senza esservi assolutamente preparata, una presenza più personale, più certa, più reale di quella di un essere umano, inaccessibile sia ai sensi che all'immaginazione, analoga all'amore che traspare attraverso il più tenero sorriso di un essere amato. Non potevo essere preparata a questa presenza – non avevo mai letto i mistici. Da quell'istante il nome di Dio e quello di Cristo si sono mescolati in maniera sempre più irresistibile ai miei pensieri. Fino ad allora la mia unica fede era stata l'amor fati degli stoici, come l'intese Marco Aurelio, e l'avevo sempre fedelmente praticata.»
«Imitare la bellezza del creato, adeguarsi all'assenza di finalità, di intenzioni, di discriminazione, significa rinunciare alle nostre intenzioni, alla nostra volontà. Essere perfettamente obbedienti significa essere perfetti come è perfetto il nostro padre celeste.
L'uomo è venuto al mondo unicamente per consentire a rinnegare se stesso e cedere il passo all'amore di Dio, che è amore di Dio per Dio medesimo, perché Dio solo è capace di amare Dio».
« L'incarnazione del cristianesimo implica una soluzione armoniosa del problema dei rapporti fra individuo e collettività. Armonia in senso pitagorico: giusto equilibrio dei contrari. È precisamente di questo che gli uomini hanno sete oggi.»
«Iddio pena, attraverso lo spessore infinito del tempo e della specie, per raggiungere l'anima e sedurla. Se essa si lascia strappare, anche solo per un attimo, un consenso puro e intero, allora Iddio la conquista. E quando sia divenuta cosa interamente sua, l'abbandona. La lascia totalmente sola. Ed essa a sua volta, ma a tentoni, deve attraversare lo spessore infinito del tempo e dello spazio alla ricerca di colui ch'essa ama. Così l'anima rifà in senso inverso il viaggio che Iddio ha fatto verso di lei. E ciò è la croce.»
«Per pensare la sventura è necessario portarla nella carne, profondamente conficcata, come un chiodo, e portarla a lungo, affinché il pensiero abbia il tempo di temprarsi abbastanza per guardarla. [...] Grazie a questa immobilità il granello infinitesimale d'amore divino gettato nell'anima può crescere a piacimento e portare frutti nell'attesa [...]. Felici coloro per i quali la sventura entrata nella loro carne è la sventura del mondo stesso nella loro epoca.»
«Nell'incarnazione e nell'abbandono di Cristo sulla croce, Dio stesso ha sofferto la condizione tragica dell'uomo. Dio ha dovuto incarnarsi e soffrire, per non essere inferiore all'uomo; Cristo è il giusto disprezzato, flagellato, abbandonato.
Se l'anima emette quel grido e ancora non smette di amare, essa può trascendere la sventura, la gioia e la sofferenza, per accedere all'amore di Dio, giacché nel profondo della sventura splende la misericordia divina.
Accettare significa trasformare; significa trasfigurare la sofferenza in sacrificio che redime. Siccome siamo creature siamo contraddizione; perché siamo Dio e, al tempo stesso, infinitamente altro da Dio.
Dio si è negato in nostro favore, per offrirci la possibilità di rinnegarci per lui».
«Talvolta anche, mentre recito il Padre nostro oppure in altri momenti, Cristo è presente in persona, ma con una presenza infinitamente più reale, più toccante, più chiara, più colma d'amore della prima volta in cui mi ha presa. Ogni volta che penso alla crocifissione di Cristo pecco d'invidia»
«Il cristianesimo deve contenere in sé tutte le vocazioni senza eccezione, perché è cattolico. [...] tradirei la verità, cioè quell'aspetto della verità che io scorgo, se abbandonassi la posizione in cui mi trovo sin dalla nascita, cioè il punto di intersezione tra il cristianesimo e tutto ciò che è fuori di esso. [...] C'è un ostacolo assolutamente insormontabile all'incarnazione del cristianesimo, ed è l'uso di due brevi parole: anatema sit. [...] Mi schiero al fianco di tutte le cose che, a causa di quelle due brevi parole, non possono entrare nella Chiesa, ricettacolo universale.» |
Simone fu sepolta il 31 agosto nella sezione cattolica del cimitero di Ashford, sette persone assistettero alla cerimonia, non ci fu nemmeno un prete cattolico al suo funerale.
Tutti coloro che ardono di vedere Dio prima o poi, in questa vita, saranno accontentati.
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