DORIAN GRAY (Autoritratto fotografico) |
L'uomo è definito dalla sua tensione verso l’Infinito, la felicità, il Tutto; e dal suo limite, la sua fragilità, la sua finitezza. L'uomo è un’insondabile mistero, creato nè celeste nè terreno affinchè possa superarsi, affinchè sappia fermarsi.
"Io desidero con tutto il cuore che un essere eterno e invisibile si interessi al mio destino, ma come fare per crederlo? Oh felice chi può con vigorose piume balzar verso le lande luminose e serene e planar sulla vita e senza pena intende il linguaggio dei fiori e delle cose mute."
Queste parole di Charles Baudelaire descrivono bene il desiderio dell'uomo di elevarsi al di sopra della difficile realtà in cui si trova a vivere, per giungere a felicità sovra-terrene.
Leggiamo ancora nei suoi Diari intimi:
«Quasi tutta la nostra vita è
spesa in curiosità sciocche.
In cambio ci son cose che dovrebbero eccitare al più alto grado la curiosità degli uomini e che, a giudicare dal corso ordinario della loro vita, non gliene ispirano alcuna.
Dove sono i nostri amici morti? Perché siamo qui? Veniamo da qualche parte? Che cos'è la libertà? Può accordarsi la libertà con la legge provvidenziale?»; e ancora:
«Nulla esiste senza scopo: dunque questa esistenza ha uno scopo. Quale scopo? Lo ignoro. Dunque non l'ho stabilito io. Ma qualcuno più sapiente di me. Bisogna dunque pregare questo qualcuno d'illuminarci. E' il partito più saggio»;
«La vera civiltà non è nel gas o nel vapore, ma nel lavoro d'ogni giorno per diminuire le conseguenze del peccato originale».
In cambio ci son cose che dovrebbero eccitare al più alto grado la curiosità degli uomini e che, a giudicare dal corso ordinario della loro vita, non gliene ispirano alcuna.
Dove sono i nostri amici morti? Perché siamo qui? Veniamo da qualche parte? Che cos'è la libertà? Può accordarsi la libertà con la legge provvidenziale?»; e ancora:
«Nulla esiste senza scopo: dunque questa esistenza ha uno scopo. Quale scopo? Lo ignoro. Dunque non l'ho stabilito io. Ma qualcuno più sapiente di me. Bisogna dunque pregare questo qualcuno d'illuminarci. E' il partito più saggio»;
«La vera civiltà non è nel gas o nel vapore, ma nel lavoro d'ogni giorno per diminuire le conseguenze del peccato originale».
Che tristezza vedere come questa fame di eternità e di pienezza si riduca spesso ad un'esistenza egoistica, arida e narcisistica; la ricerca ossessiva di vita non trova nulla che non si prosciughi o si corrompa! Che beffa farsi dio della propria vita e nel tentativo di superare ogni limite chiudersi il cielo, aspirare all'eterno e trovarsi ad elemosinare il passeggero e l'effimero.
Diviso fra il desiderio di
elevarsi fino alla contemplazione dei Troni e delle Dominazioni e il bisogno di
assaporare i forti liquori della dannazione di offrire tutto a se stessi; questo è il travaglio dell'uomo.
Nei
"Paradisi Artificiali" Baudelaire parla di tutto ciò che può
provocare sensazioni forti e inebrianti, considera l'alcool, l'oppio, il sesso
nel suoi aspetti perversi e degradanti, come surrogati del paradiso, fuochi
fatui che frustrano l'ansia di pienezza a cui aspira ogni uomo. Quanta
delusione per chi si sente esiliato dal Paradiso e dispera di trovare la via
per farvi ritorno.
La
realizzazione dell'uomo è nell'amore, nella libertà di donarsi e di spendersi
per gli altri ma allora perchè, anche se abbiamo capito questo, ci troviamo
spesso a rinnegare l'amore e a vivere tutto il contrario?
Di qui il tedio, l'angoscia, la
noia, la nausea: questo pungolo assiduo dell'uomo, che per un verso è stato
tradito dalla modernità razionalista e naturalista, e per altro verso non sa
tornare a Dio; ciò che resta è una disperazione senza via d'uscita, una paura
che paralizza ogni impeto costruttivo.
Dice
S. Paolo: io conosco il bene e lo vorrei fare, ma non c’è in me la capacità di attuarlo, “infatti io non compio il bene che
voglio, ma il male che non voglio. Ora, se faccio quello che non voglio, non
sono più io a farlo, ma il peccato che abita in me” (cf Rom 7,18-20).
Noi
vorremmo avere una vita piena di amore, ma l’uomo
sperimenta presto che non può amare. Non sa amare.
Gli uomini sono come condannati a vivere per se stessi, ma l'uomo non può realizzarsi veramente ed essere felice nell'egoismo, perchè è stato creato ad immagine di Dio.
Chi ci libererà allora da questo corpo mortale?
Gli uomini sono come condannati a vivere per se stessi, ma l'uomo non può realizzarsi veramente ed essere felice nell'egoismo, perchè è stato creato ad immagine di Dio.
Chi ci libererà allora da questo corpo mortale?
Siamo
davvero tutti egoisti, maligni, infingardi, falsi ma Dio
non ci chiederebbe di volare se non ci avesse anche dotato di ali.
C'è dunque un
immenso e universale bisogno di salvezza, ma cosa vuol dire salvezza? Salvato è
colui che è stato liberato da un male incombente. Il tema della salvezza evoca
e suppone la miseria e la grandezza dell'uomo.
Molti sono
persuasi che l'uomo preso in se stesso è gia buono, bello e fortunato, sicchè
non ha affatto bisogno di salvezza personale: non c'è bisogno di cambiare i
cuori.
Per salvare l'uomo dal peccato
dicono gli illuministi radicali basta dirgli che non ci sono peccati, al
massimo ci sono sensi di colpa dai quali ci si può e ci si deve liberare. Per
salvarlo dalla morte, basta persuaderlo che il problema della morte è un falso
problema, e non va neppure preso in considerazione.
Molti, però, ritengono possibile
e necessaria una salvezza esteriore, che cioè si risolva in un mutamento delle
strutture e delle condizioni sociali, politiche e culturali. Tutti quelli che
ritengono possibile e necessaria questa salvezza esteriore, sono assolutamente
certi che l'uomo sia l'unico salvatore di se stesso e nessun intervento
dall'alto sia necessario, anzi sia possibile, e in fondo sia nemmeno gradito.
Senza una lucida comprensione
dell’uomo, le conclusioni oscillano tra l'affermazione che una salvezza vera e
propria della persona umana è impossibile e l'affermazione che una salvezza
vera e propria della persona umana è superflua.
Scrive Pascal:
“E' pericoloso insistere nel far constatare all'uomo quanto è simile alle
bestie, senza mostrargli la sua grandezza. Ma è anche pericoloso insistere nel
fargli constatare la sua grandezza senza la sua bassezza. E' ancora più
pericoloso lasciarlo nell'ignoranza dell'una e dell'altra. Giova invece molto
mostrargli sia l'una sia l'altra. La superbia
dei filosofi dipende dal fatto che hanno conosciuto Dio ma non la loro miseria,
la disperazione degli atei dipende invece dal fatto che hanno conosciuto la
loro miseria ma non il Redentore”.
Se l’uomo non
conosce la propria grandezza ma solamente la propria miseria, finirà per
considerarsi e per vivere da bestia, scivola nel relativismo, e finisce per
mettere bene e male sullo stesso piano. La sola contemplazione della nostra
miseria ci porta così alla disperazione, alla distrazione, alla fuga da noi
stessi. Chi, invece, vede solo la grandezza dell’uomo, finisce, sul piano della
ragione, nella superbia, nella vanità, nell’orgoglio, nel razionalismo;
nell‘arbitrio, nella presunzione.
La
contemplazione di entrambe le dimensioni dell’uomo ci dice chi siamo.
La fede è per Pascal l’unica
chiave che apre la porta, che permette all’uomo di conoscere se stesso, il
mondo, Dio. Essa indica infatti: che veniamo da Dio ma non siamo Dio; Tutti
noi aspiriamo a Dio come un “re decaduto” che ha nostalgia
della sua reggia.
“Chi si sente infelice di non
essere re, se non un re spodestato?“.
La Buona
Notizia consiste nella gratuità della grazia divina nell'incontro con una
persona Gesù Cristo morto e risorto per la nostra salvezza. Gesù
Cristo, vero Dio e vero Uomo, induce l'uomo a sentire la propria miseria la sua
infinita misericordia. Secondo Anassimandro
ogni nascita deve pagare il prezzo dell’ingiustizia
che inevitabilmente produce, Cristo ha pagato per noi questo prezzo.
Siamo nel cuore di quel Mistero
Pasquale, che solo ha il potere di sorreggere e rendere feconda l'intera storia
umana, e che ogni cristiano è chiamato a reinterpretare nel concreto della
propria esperienza. Accogliere questo
annuncio significa accogliere la grazia divina e poter amare come non ci era
possibile prima e sperimentare la felicità e la pienezza, in attesa di “Cieli
Nuovi e Terra Nuova dove avrà stabile dimora la giustizia”.
La grazia ci
libera dalla schiavitù del peccato che ci obbligava ad offrire tutto a noi
stessi, imprigionati nella paura del futuro, della malattia, dell'incertezza e
condannati a contare le nostre monete per esorcizzare il terrore della morte,
dell’imprevisto e della precarietà.
Baudelaire, decisamente
antilluminista, ha la struttura interiore di un mistico è sempre sull'orlo di
quell'umiliazione esaltante che lo spalancherebbe alla Salvezza, se solo
accettasse di essere compiuto da Altro da sé, di fare spazio alla Grazia; ma di
fatto resta sempre ancorato all'autoesaltazione superba, «L'autogodimento della
propria superbia di artista» - scrive Auerbach - «l'apoteosi del poeta, il
quale si eleva sulla spregevole stirpe degli uomini».
"I fiori del male" di Baudelaire
sono caratterizzati dalla nostalgia di un Eden perduto, dalla
malinconia, dalla disperante ossessione di una bellezza irraggiungibile, dalla
vertigine del sogno.
Leggendo i
suoi versi si sente forte la precarietà dello slancio titanico del poeta verso
il cielo. In “I lamenti di un Icaro”, questi confessa che, pur essendo
spezzato dalla fatica, ha abbracciato solo nuvole.
«Invano il
centro
volli trovare dello spazio e il limite:
ché sotto non so quale occhio di fuoco
sento che l'ala mi si spezza».
volli trovare dello spazio e il limite:
ché sotto non so quale occhio di fuoco
sento che l'ala mi si spezza».
Baudelaire però, a differenza di
tanti ideologi del suo tempo, ha disseminato nei suoi versi momenti di sincera
mendicanza del Vero.
Rivolgendosi Alla Madonna
scriverà:
«Sotto i tuoi piedi metterò il
Serpente
che mi morde le viscere,
affinché,
Regina vittoriosa e in
redenzioni
feconda, tu calpesti e tu
schernisca
codesto mostro».
Il peccato gli è sempre
dolorosamente davanti: «Ah, Signore, concedimi la forza e il coraggio / di
contemplare il mio cuore e il mio corpo senza disgusto» (Un viaggio a
Citera).
Un brano particolarmente
eloquente è tratto dalla lirica “Corrispondenze”:
«E' questo mirabile e
immortale istinto del Bello che ci fa considerare la terra e i suoi spettacoli
come una visione, come una corrispondenza del cielo. La sete insaziabile di
tutto ciò che è al di là e che rivela la vita, è la prova più evidente della
nostra immortalità. E' nel contempo con la poesia e attraverso la poesia, con e
attraverso la musica che l'anima intravede gli splendori posti al di là della
tomba».
Queste parole esprimono bene la
grande intuizione di Baudelaire: l'umana esigenza della bellezza implica
l'esistenza di una Bellezza ultima che sta al di là delle modalità
sperimentabili; lo spettacolo naturale è segno, analogia e prova che l'anima è
destinata allo splendore dell'immortalità.
Baudelaire crede sia l'arte,
poesia e musica, la finestra che fa intravedere questo splendore. Egli,
riconosciuta la sete insaziabile, si accontenta di misurarla e calibrarla col
sentimento, senza un impegno personale e libero: la ricerca del senso della
vita, l'urgenza, l'esigenza di un significato ultimo diventa uno spettacolo di
bellezza, assume una forma estetica.
Nel 1866 scrive: «Avendo
immaginato di sopprimere il peccato, i liberi pensatori hanno creduto ingegnoso
sopprimere il giudice e abolire il castigo, e proprio questo chiamano progresso.
Per loro, combattere l'ignoranza è ridurre Dio».
Baudelaire invece tornava ad
aprirsi alla fede dell'infanzia, grazie anche all'amicizia di un cattolico
energico come Louis Veuillot: sul letto di morte il poeta maledetto, che dieci
anni prima aveva invocato Satana, chiese i Sacramenti.
Tra gli
artisti, quanta sete d'infinito, quanti santi mancati!!
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