Mi fa piacere condividere
questa intervista che mi hanno fatto qualche giorno fa per una Rassegna d’Arte.
Essendo interamente trascritta da una conversazione a braccio è un po’
lunghetta, ma almeno è più vera e spontanea:
“Arte.. un racconto interiore” Isolina Mariotti
incontra l’artista Francesco Astiaso
Garcia
E’ attratto da ogni aspetto, da ogni manifestazione della
vita, Francesco Astiaso Garcia e le emozioni, che da queste arrivano, forti e
intense per chi riesce a coglierne il senso vero insito in loro, le vive con
passione e determinazione affidandole poi alla tela, quasi a dare maggior forza
al sentimento. Quelle che nascono sono composizioni estremamente motivate dal
suo essere artista, dall’amore per gli altri, per la vita, da un senso di
appartenenza al mondo che non gli consente di guardare oltre, quando incontra i
tremendi bisogni che l’umanità ha. E sono una testimonianza di se stesso, di
ciÚ che lui coglie e vorrebbe trasformare in una unione armoniosa di tutte le
forme, i pensieri, di tutti i contesti esistenti. E la sua anima? Lei guarda
senza ansia il lavoro che lui sta facendo perchÈ sa che ha trovato lo scopo della
sua vita e lo sta realizzando. Con costanza e con gioia profonda.
-Buongiorno Francesco,
questo quindi è il tuo studio? In parte, vedendo i tuoi lavori lo avevo
immaginato, colori chiari, spazioso.
Buongiorno, mi fa piacere ti piaccia. »
-Sì , ci si sente bene
dentro. Anche tu avverti la stessa cosa penso, quando lavori.
Sì. Lo studio, per un artista, è molto importante perché è il
rifugio dove siamo soli con i nostri pensieri, le nostre intuizioni, le nostre
ricerche e, come dicevi tu, dove ci si deve sentire a proprio agio soprattutto,
dove potersi raccogliere e, in qualche modo, separarsi dal mondo. Picasso
diceva che l’arte è fatta di pienezza e restituzione. Pienezza nell’esperienza
della vita, le letture, gli incontri, i viaggi. La restituzione nella
creatività dell’artista quando produce. E lo studio è proprio lo spazio della
restituzione.
Qui senti la mente
libera di andare.
E’ vero, la mente può spaziare perché sono luoghi di
creatività. E’ per questo che, come vedi, non ho voluto dare un ordine troppo
preciso perché mi piace l’idea di un mio percorso un po’ caotico che lascia più
spazio alla creatività. Uno spazio libero come la stanza di un bambino con i
giochi. E anche un po’ in disordine.
-Passi molto tempo qui?
Ore e ore ogni settimana. Quasi tutti i pomeriggi. A volte
anche qualche mattina.
-Hai avuto un cammino costante
nel tuo lavoro o ti sei fermato facendo altro e poi sei tornato?
Per ciò che riguarda la continuità è sempre stato lineare
perché non ho mai interrotto per più di una settimana, sin da quando ho
iniziato, da bambino quindi. Per quello che riguarda l’inquietudine, la ricerca
di uno stile, di se stessi, della propria personalità lineare, invece, non lo è
mai stato. Credo molto nell’arte come cammino di perenne ricerca, più che di
una scelta. Quando parliamo del suo legame con il mercato è chiaro che tutto
spinge verso una selettività, una linea riconoscibile e capisco che tutto ciò
sia necessario in un determinato contesto però, questo, se parliamo di arte in
senso pieno, di arte come specchio dell’anima, per quanto mi riguarda, può
diventare anche un grande limite. Uno dei problemi che vedo in molti artisti,
anche grandi artisti è che, seguendo questa via
poi, in qualche modo, rimangono lì, come intrappolati. Quindi penso sia
fondamentale non avere una eccessiva linearità.
-Pensi sarebbe meglio non
seguire quella modalità che ti fa riconoscere e alla quale tutti aspirano, tra
l’altro?
Il mio professore diceva: “sei molto bravo nel figurativo,
sei interessante quando sperimenti l’astratto, fai bene la scultura ma, devi
scegliere. Come se il non farlo creasse un problema. I miei più grandi
riferimenti, anche tra i contemporanei, sono personalità completamente libere
da questo tipo di schemi. Nella dinamica commerciale economica e delle
gallerie, invece, si deve avere uno stile proprio che ti fa riconoscere. Beh io,
questo, lo condivido solo in parte.
-Pensiamo un attimo al
momento in cui ci vestiamo la mattina. Non siamo noi a scegliere i colori, sono
loro che scelgono noi secondo la nostra frequenza di quel momento e magari per
un mese indossiamo sempre la stessa tonalità. Ad esempio il rosso. La gente, a
quel punto, ti identificherà con quel colore. Poi all’improvviso tu cambi perché
senti la necessità di indossare il verde e la gente dirà, “non lo riconosco era
un altro il suo colore”. Ebbene sì, è vero, ma oggi il mio sentire è diverso. E
anche il verde mi rappresenta. Rappresenta una parte di me che non è disgiunta
dal tutto. E così è per ogni cosa.
Viviamo in un mondo dove regnano solo le etichette e le
definizioni superficiali. Ghettizziamo le appartenenze religiose,
intellettuali, politiche, i colori delle nostre sensibilità da tutti i punti di
vista. Quello che sfugge a una facile definizione confonde, però lì c’è una grande
ricchezza. Per un’anima eclettica come la mia è importante anche quel lavoro di
sintesi tra le varie ricerche. Questi quadri che vedi in questa parete del mio
studio, sono un esempio di sintesi, li chiamo neofigurativi. Una figurazione
contemporanea che nasce dal classico.
-La usi soprattutto nei
volti e nelle figure.
Sì e sono proprio il frutto del mio disordine. Io, come tutti,
sono nato come pittore figurativo, riproducevo cavalli, una barca capovolta,
ritratti di mia madre, il cielo tutto quello che vedevo. Crescendo, però, ho
capito che la pittura è una libera espressione dell’anima. Non fermandoci al
puro informale o all’astrazione, sarà possibile far convivere anime anche contrastanti. Sono
anni che cerco questa sintesi tra la pittura più libera, che segue una spinta
dionisiaca e l’anima classica, non ridotta, però, alla ripetizione di un canone
che può andar bene per una committenza o una Chiesa dove c’è un discorso di base diverso. Ci sono
dei momenti di caos totale ma, come dice Baudelaire, da una stella danzante
esce fuori la luce più luminosa.
-Tu, a parte il lavoro
artistico fai anche tanto nel campo sociale, mi sembra, vero?
Sono sempre stato attratto da tutto quello che riguarda
l’umanità. Nel mio studio ho voluto scrivere una frase di Terenzio “Nulla di
ciò che è umano mi è estraneo” perché? Perché qui si tocca un punto
fondamentale che a volte mi mette anche un po’ in crisi nel senso che sono
arrivato a rendermi conto che è molto più importante quello che si fa per le
persone, che la stessa opera d’arte. I bisogni dell’uomo oggi sono tanti! Per
anni ho vissuto per l’arte, dedicando la maggior parte del mio tempo, alla
pittura. Vivevo nel mio studio, dipingevo di notte, non avevo orari.
-Cosa ti ha cambiato?
Viaggiando per il mondo continuavo a scoprire situazioni estreme
di bisogno dell’umanità. Ho viaggiato in molti Paesi davvero poverissimi, dove
manca anche l’essenziale a troppe persone.
-E quello che vedevi ti
restava dentro?
Mi restava dentro, sì. Mi è restato dentro. Parlo di paesi
come il Congo, il Ruanda, l’India, il Sud Est Asiatico, i paesi dell’America
latina dove ho scoperto baraccopoli enormi. Uno degli incontri più sconvolgenti
per me è stato quello con le suore di carità a Calcutta. Si prendevano cura dei
lebbrosi con un amore, un’attenzione e una gioia incredibili. Negli stessi
giorni leggevo scritti di Michelangelo Buonarroti che nella sua vecchiaia scriveva dell’ansia di
essere e di creare, delle insoddisfazioni e in fondo del vuoto anche dell’arte
e mi colpiva e pensavo:” Io non sono certo Michelangelo, ma anche se arrivassi
a esserlo, quest’uomo sta dicendo che l’arte non basta, che c’è tanta vanità
dietro questa spinta creativa”, e poi
vedevo queste suore che nella carità di vivere, nella semplicità di gesti, di
cura l’una verso l’altra avevano una luce, una bellezza, una trasparenza e
spiritualità che mi attraeva immensamente. Tutto questo mi ha portato, alla fine,
a ridimensionare l’arte in modo molto serio. Ho capito che non poteva più
essere al primo posto, nella mia vita, come lo era stata in tutta la mia
giovinezza. Questo è stato fondamentale e non solo il mio lavoro non ne ha poi
sofferto; non solo non ne ha perso, ma ho visto che ne giovava di questa
verità. Senza queste esperienze, di cui sto parlando così, solo a grandi linee,
una persona come me non si sarebbe mai potuta sposare, stare con una sola donna.
Avere dei figli! Impossibile. Io dovevo partire, girare il mondo, una famiglia
sarebbe stata un peso enorme, significava diventare borghese, rinunciare ai
miei sogni ma tutto questo mi stava rubando la parte migliore della vita.
Ho conosciuto grandissimi artisti, molti anche famosi, li
andavo a trovare nella loro vecchiaia e nonostante l’ammirazione per le loro
opere, non rimanevo coinvolto. Gente che parlava solo di se stessa, delle proprie
mostre, dell’importanza del proprio lavoro. Uscendo mi dicevo, “spero di non
diventare così”… ma i rischi li vedevo, io non ero molto diverso…ora mi sento
un riscattato.
-Certo. Una presa di
coscienza così importante si ripercuote sul lavoro e questo diventa più vero e
rimanda qualcosa di più sentito a chi lo guarda.
Sì ne sono convinto. Anche per un’altra ragione. Cos’è che
domina il mondo? Il denaro. Purtroppo. E il problema degli artisti è quasi
sempre legato a questo perché il denaro e il mercato ne tiranneggiano la
produzione. Dovrebbero fare quello che sentono, invece devono continuare a fare
ciò che il mercato chiede, e cos’è che muove il mercato? le dinamiche
ideologiche, i poteri dominanti. Per definizione l’artista dovrebbe essere
fuori dagli schemi, rompere con le gabbie di normalità, le consuetudini, le
ipocrisie e invece si ritrova a creare secondo le dinamiche di committenti
quali le multinazionali, banche e gallerie. Io capisco che l’artista deve
vivere. Vendere, mantenere una famiglia, riuscire a vivere con questo lavoro, è
complicatissimo. Il mercato però va a deturpare profondamente quella che è
l’opera di un artista. Siamo arrivati al punto che conta più la firma
dell’opera. È una cosa drammatica perché tutte le operazioni commerciali, di
marketing che girano intorno all’arte sono più importanti dell’arte stessa. Il
valore dell’opera non lo sfioriamo nemmeno. Altro aspetto inquietante è che ci
sono artisti che non realizzano più i loro lavori, li commissionano ai grandi
artigiani. Questo porta alla mercificazione totale dell’arte…cosa rimane? Il
brand appunto. E così si capisce che è solo una questione di speculazione.
Questo fa comprendere in quali tempi stiamo vivendo e quanto sia malato il
mercato. Come rompere questa dinamica, come uscirne? E’ una delle sfide più
grandi che ci aspetta oggi, non so se sei d’accordo.
-Sono d’accordo,
assolutamente ma non penso che sia una sfida solo per gli artisti e che da soli,
questi, possano cambiare questo stato di cose perché non avviene solo in ambito
artistico, ma ovunque perciò, tutti dovrebbero riuscire a vedere ciò che sta
succedendo sentirsi coinvolti e
responsabili, decisi a trovare una soluzione. Ormai da tempo anche la scienza
ha abbracciato la teoria che la mente può influire su ciò che avviene. Se tutti
noi invece di non voler pensare e di dire sì a tutto ciò che ci propongono,
anche se sappiamo che non va bene, però ci fa comodo, perché alla fine è questo
poi, no? Se cominciassimo a dire basta
forse qualcosa cambierebbe.
Mi ha colpito molto, di recente, un rapporto del Censis che
definiva il popolo italiano un popolo di sonnambuli. Un tempo eravamo un popolo
di eroi, di artisti, di poeti, di santi e navigatori, oggi siamo un popolo di
sonnambuli.
Non ero a conoscenza di
questo ma sono perfettamente d’accordo.
L’ho letto da poco e mi ha colpito enormemente. Insomma ci
hanno detto che siamo in preda al torpore, ripiegati su noi stessi! In effetti mi
chiedo come mai in un momento, forse il più buio degli ultimi ottant’anni, dove
stiamo andando verso un declino inesorabile, invece di essere più svegli ed
efficaci, siamo sempre più addormentati. La risposta che mi sono dato è che la
gente non abbia più una grande speranza e anche lì dove la speranza ancora
esiste forse pensa di non avere la capacità di influire sul cambiamento, in
modo concreto.
-Sì è questo.
Io credo in questo. Il
mare è fatto da tante piccole gocce che insieme diventano una potenza.
A proposito di mare mi viene in mente quella che dovrebbe
essere la vera vocazione dell’artista. Gli artisti hanno il compito
insostituibile di aiutarci ad alzare gli occhi risvegliando le coscienze.
Diceva come monito tanti anni fa il mistico spagnolo Fra Luis De Leon, “svegliatevi
mortali, alzate gli occhi!”. Sono parole di una attualità incredibile, ogni
artista dovrebbe farle proprie. Henry Miller diceva che l’arte non insegna
nulla tranne il senso della vita. Il nostro lavoro non è fare un quadro che si
accordi con il colore del divano, deve risvegliare quel senso di pienezza, di
ricerca di infinito, di spiritualità, quella vita divina dell’uomo che è
fondamentale.
In una mia poesia
scritta trent’anni fa avevo messo questa frase: “Uomo, la tua testa alza, le
spalle. Tua è la vita…”. Trent’anni fa!
E’ ancora attualissima e se il Censis dice che oggi siamo un
popolo di sonnambuli forse, oggi è ancora più attuale di ieri. E’ una sfida,
questa, che l’artista riuscirà a vincere solo se riuscirà ad affrancarsi dalle
dinamiche di cui parlavamo prima, e a condizione che non sia il primo
soggiogato da politiche, ideologie e mercato, ma resti un uomo libero spiritualmente
che cerca la dimensione divina dell’essere umano. E’ un ruolo meraviglioso
quello che lo aspetta. Dice Antoine de Saint-Exupéry che cito spesso: “se vuoi
costruire una barca non radunare uomini per tagliare legna, impartire ordini,
dividere i compiti, ma risveglia in loro la nostalgia per il mare infinito”. Come
dire che il segreto che ci porterà a realizzare il cambiamento sarà quella
nostalgia di cielo e di verità, di amore per la vita che sentiamo. La barca la
si costruirà per questo. Sarà una conseguenza del nostro sentire. Si inizia
dalla motivazione per poi imbarcarsi e prendere il largo. Questo deve capire
l’artista. Si tratta di salvare il senso della vita umana contro il caos, il
nichilismo, l’individualismo che ti porta a vedere l’altro come una minaccia,
un nemico. Dobbiamo unirci, non possiamo vivere sempre sulla difensiva.
Dobbiamo abbracciare le questioni sociali, le ingiustizie, dare voce a chi non
ha voce. Se non lo faremo noi artisti chi lo farà? Ma va fatto a
trecentosessanta gradi per quel che mi riguarda, non si può difendere la vita
nel grembo materno e poi disprezzare gli immigrati o di contro accogliere gli immigrati
e non difendere la vita dal concepimento alla morte. Siamo al paradosso. A
volte ho la terribile sensazione che la vita di un anziano morente, di un pazzo,
di un africano, di un immigrato, di chi è sotto le bombe o di un feto ci interessa
solo se quel meccanismo di protezione umana è ideologicamente affine al nostro
pensiero.
-Perché devono
strumentalizzare sempre tutto, cosa c’entrano le appartenenze politiche? I
valori non sono di destra e nemmeno di sinistra, anche se tutti vogliono
appropriarsene.
Lo so ma oggi è così. E’ drammatico. Per quel che mi riguarda
io guardo in alto, né a destra, né a sinistra. Noi ci troviamo di fronte a
forti contrapposizioni, da una parte un relativismo dilagante che mescola tutto,
anche i valori e lo fa in modo spesso superficiale, buonista e ipocrita, dall’altra
un sovranismo che sta tornando, di protezione della propria cultura, tradizione,
che guarda l’altro come un diverso, un ostacolo, una minaccia. L’armonia è la
scienza dell’arte che crea sintesi, dialoghi tra opposti. Questo facciamo
quando dipingiamo. Tu da poeta, pittrice e scrittrice cosa fai quando componi
qualcosa? Cosa fai con gli elementi tra loro discordanti, colori, forme,
parole, suoni…li unisci in modo che non si disturbino e fai in modo che si
valorizzino, facendo cantare ognuno la bellezza dell’altro. Questa è l’armonia.
Pensa se noi riuscissimo a portare questo lavoro unificatore tra i popoli, gli
stati, le culture e le religioni! Oggi più
che la pittura stessa, sono interessato alla diplomazia culturale perché credo sia
una strada fondamentale per utilizzare il nostro talento artistico anche fuori
dalla tela, dalla composizione musicale, dai versi e usarli come pretesti per
favorire incontri.
In fondo sono davvero
pretesti. Ogni cosa che noi facciamo è sempre tesa a qualcosa di più grande,
qualcosa ancora da raggiungere e che, spesso inconsciamente, cerchiamo.
E’ vero e non soltanto. Da un punto di vista artistico…
No non solo, parlo
dell’umanità, tutta l’umanità.
Sì giusto. Ed è fondamentale che sia così. Non può che essere
così. Parlavo prima dei molti artisti chiusi in se stessi. La storia dell’arte
in effetti è piena di esempi. Picasso stesso, un genio, eppure nella vita raccontano
fosse attaccato al denaro, trattava male le donne, strumentalizzava la politica,
un uomo che non si può davvero prendere
ad esempio… eppure, artisticamente, ne siamo ammirati. Come ti ho detto per me,
prima ancora della pittura, c’è la vita. Il messaggio più bello che mi ha
trasmesso il mio maestro di pittura Kiko Arguello è questo: “Non deve essere la
vita a servire l’arte, ma l’arte a servire la vita”. Come dicevi tu, e vale per
tutti, non solo per gli artisti, se abbiamo un dono non possiamo usarlo solo
per noi stessi. Diventerebbe una dannazione. Perché è piena la storia di grandi
artisti, uomini e donne, che alla fine hanno scelto il suicidio o
l’autodistruzione? Violeta Parra, Jim
Morrison, Modigliani. Com’è possibile che così tanti di loro, si potrebbe dire
benedetti da Dio, alla fine sono arrivati ad autodistruggersi a causa del loro
stesso talento e sensibilità? Perché?
Un poeta diceva: “Ogni dono che Dio da all’uomo è
accompagnato da una verga che come unico scopo ha l’autoflagellazione”. E’ vero.
A volte si guardano le persone semplici con invidia. Mi è successo tante volte,
nella mia giovinezza un po’ devastata di guardare queste persone e invidiarle
perché riuscivano a gioire di poche cose ed erano più felici di me che stavo lì
a cercare la risposta di chissà quale senso alla sofferenza umana.
-Tutto questo andrebbe
insegnato. Nelle scuole, ai giovani. Io dico sempre: perché non insegnare loro
a scendere dentro se stessi per conoscersi, per capire?
Educare significa tirare fuori da sé. Cos’è che possiamo tirare
fuori dai ragazzi? Cosa puoi tirare fuori da loro se non sei il primo a tirare
fuori quello che hai e ciò che sei? Il
maestro forse dovrebbe essere questo: una persona che si mette in gioco, nuda
di fronte ai propri allievi.
Siamo abituati a usare
spesso la parola buono, cosa vuol dire essere buono? Non ha senso quella
parola. Ha senso essere giusti.
Sì perché la giustizia si lega alla verità. Quando vedo che
nelle chiese in Russia dipingono carri
armati guidati da una rappresentazione di una Madonna patriottica, o vedo chi,
con il rosario in mano, chiude senza pietà e distinzione le porte davanti alle
persone che chiedono accoglienza e rifugio, rimango stravolto.
Stiamo vivendo tempi interessantissimi, drammatici da certi
punti di vista ma la sfida per noi cristiani è enorme. Oggi possiamo avere un
ruolo impressionante e se siamo anche artisti sapremo parlare di Dio in modo più
convincente di chiunque altro. L’arte è lo splendore del vero, diceva Gaudì, e
a me piace parlare dell’arte come di un déjà vù della creazione, perché quando un’opera
d’arte esce fuori, risuona in profondità con le leggi che stanno fuori e dentro
di noi, leggi che vanno oltre le mode soggettive e passeggere.
Non sono legate a
cliscé.
No e neanche a un manifesto. Che tu faccia un’opera astratta
o un quadro classico se sei un artista in quel quadro ci saranno le stesse
armonie che ci sono in una conchiglia, nella ruggine, nella terra che si spacca
e questo fa capire che la bellezza unisce tutto e tutti perché usa il
linguaggio della creazione. E’ come una voce silenziosa presente in tutto
l’universo che l’artista, dipingendo, in qualche modo ricrea, avvicinandosi a
Dio. Diceva Giovanni Paolo II, l’artista è l’unico che capisce Dio all’alba
della creazione. Una delle definizioni
più belle della bellezza l’ha data
Zichichi, lo scienziato: “La bellezza è la logica che noi decifriamo dallo
studio delle leggi della natura” quindi non un manifesto intellettuale ma
qualcosa di molto oggettivo ed è la voce silenziosa di cui parlavamo prima, che
unisce le leggi dell’universo.
E’ qualcosa di
naturale.
I greci studiavano la sezione aurea e scoprivano che dietro
la conchiglia c’erano gli stessi numeri che poi ritrovavano nei movimenti dei
semi di girasole e nelle costellazioni nel cielo. Perché? Se siamo onesti dobbiamo riconoscere
che l’artista attinge dalla natura, anche senza saperlo, perché ha in sé le
stesse leggi. E questo è meraviglioso.
Tu hai una famiglia
abbastanza numerosa, in questo tuo lavoro sono loro che sono venuti verso di te?
Mia moglie è un’artista, una musicista. Ci siamo conosciuti
in Germania. Ci siamo trovati. E parliamo la stessa lingua perché lei è
un’artista cristiana che ha vissuto esperienze molto simili alle mie. Perciò è
stato davvero un trovarsi e abbiamo costruito una famiglia impostata proprio su
questa comunione. E’ una cosa preziosissima. Insieme ci siamo aperti alla vita,
abbiamo avuto quattro figli che sono uno spettacolo. Con loro passo ore e ore
nel mio studio, da quando erano piccolissimi.
-Avete creato una
dimensione unica.
Sì e tutto questo mi salva, certo mi leva tanto tempo, prima
vivevo solo per l’arte adesso ovviamente faccio tante cose, anche troppe, a
volte mi stanco, dormo pochissimo. C’è lo stesso fuoco e la stessa passione ma
il tempo è di meno come l’energia e la possibilità di girare il mondo ma la famiglia
viene prima delle mia pittura e delle mie aspirazioni ed è lei a dare senso alle
rinunce. Forse non diventerò famoso ma ho capito che la fama può essere anche
una dannazione. Non è che la disprezzo, ma non è certo lo scopo della mia vita.
-Se rinunci a qualcosa, però, questo avviene
comunque in armonia.
Esatto. Non vuol dire che sia tutto liscio e facile… ci sono
difficoltà, crisi, combattimenti, la vita è un combattimento, sempre. Però combattendo
la buona battaglia, tutti i sacrifici, quel poco sonno, quelle rinunce, che ti
pesano, che non sono una passeggiata, trovano un senso enorme, perché sai che
sei nel tuo cammino, nella tua storia che è, innanzi tutto, provare ad essere, con tanti limiti, un buon
marito, un buon padre… sapere che non puoi salvare il mondo con le tue forze e
riconoscere la grande potenza dei doni che Dio ti ha dato per metterli a frutto.
Credimi è una avventura appassionante. La vita è bellissima, ma sul serio. E io
sono molto contento.
-Francesco c’è qualcosa
che ti piacerebbe dire alle persone che leggeranno?
E’ una domanda impegnativa. Ma forse la cosa più importante e
più banale allo stesso tempo è “Siate voi stessi”. Ma proprio perché banale è
una verità comune. E’ comune ai cristiani, ai buddisti, è comune all’oriente: “Cerca
te stesso, trova te stesso”.
-Via le maschere!
Sì via le maschere. Perché è troppo difficile essere
autentici. Carlo Acutis, il ragazzo morto giovanissimo, che ora stanno
beatificando, diceva ai suoi coetanei: ”Noi nasciamo originali ma poi tutti
moriamo come fotocopie. Siate autentici!”. Era il suo invito. Noi siamo unici,
forse non perfetti ma unici e nonostante le nostre fragilità, gli errori, le
scelte sbagliate possiamo riprendere il filo della nostra autenticità senza
paura di giudizi senza conformarci a ciò che dicono gli altri. Io riassumo
sempre con un motto “Hasta la bellezza siempre” “fino alla bellezza sempre”,
parafrasanso il Che Guevara ma andando oltre. Lui diceva “Hasta la victoria
siempre” però non si può sempre vincere e a che prezzo poi. Quello che conta è
l’amore. Quindi la vittoria no ma la bellezza è la verità, sempre.
Secondo me non c’è mai
alcuna sconfitta perché una sconfitta può rivelarsi una vittoria se la si
guarda da un punto di vista diverso e distaccato.
Sembra un paradosso ma è così. Per un cristiano lo è ancora
di più. Noi seguiamo Gesù che è finito sulla croce. In un certo senso il più
grande degli sconfitti. Ma Paolo dice “Quando siamo deboli, è allora che siamo
potenti”. E’ un paradosso che ancora abbiamo poco capito. Grazie Isolina del
tempo che mi hai dedicato. Se questa intervista diventa il pretesto per una
chiamata a svegliarci, a capire che gli artisti hanno un ruolo fondamentale, a
uscire dagli schemi, a incontrarci, a dialogare, il tempo che mi ha dedicato
non è stato inutile!
Visita il sito: www.francescoastiaso.com