Dedicato al mio amico Massimo Lorenzo Petrucci, Artista della Vita
Chi è l'artista se non
colui che esce dagli schemi, colui che sa liberarsi dal peso della cultura
dominante, che sa vivere in proprio rompendo con tutte le convenzioni, le
ipocrisie, le gabbie di normalità che gravano come macigni su tutte le società.
Quali sono allora, mi chiedo, gli schemi che oggi dobbiamo rompere, quali le
convenzioni e le gabbie di normalità da cui ci dobbiamo affrancare per rimanere
liberi come uomini e artisti? Per cominciare dobbiamo liberarci dall’illusione
che la più alta ricompensa sia il consenso. Le alternative richiedono
sacrificio, integrità e un’etica capace di anteporre l’autenticità al successo. Oggi troppi artisti si piegano alle
logiche di mercato, producendo non ciò che sentono, ma ciò che si vende. L’arte
si trasforma in brand, marketing, speculazione. Logiche di
investimento e di status tiranneggiano il mercato con il suo entourage di
galleristi, azionisti e collezionisti. Andy Warhol amava ripetere che
nell'ambiente artistico non si vende tanto la qualità della carne,
quanto il rumore della bistecca sulla piastra. Dovremmo dedurne che più
importante dell'arte stessa, è tutta l'operazione di marketing che le sta
intorno.
Quanti artisti supererebbero oggi l’esame di
ammissione di disegno dal vero all’Accademia delle Belle Arti? Quanti artisti
oggi non realizzano più materialmente le loro opere? A tal proposito Damien
Hirst ha affermato: "Mi piace l'idea di una fabbrica che produce le opere,
ma non mi piacerebbe una fabbrica che produce idee." Il vero dramma
sorge proprio quando ci troviamo di fronte a un vuoto creativo, all'assenza sia
di tecnica che di un autentico contenuto, una condizione oggi tristemente
diffusa. Se oggi dipingessimo come Caravaggio, potremmo essere tacciati di
anacronismo e scarsa originalità, ma almeno ci sarebbe la sfida di un raffinato
dominio della tecnica. Se invece ripetessimo operazioni simili ai ready-made di
Duchamp, non solo saremmo anacronistici e privi di originalità, ma non avremmo
neppure alcun merito tecnico o artistico. Cosa rimane, dunque, quando
mancano sia le idee che l'esecuzione, quando svaniscono il mestiere e
l'autentica intuizione? Solo un'arte svuotata di significato, priva di sostanza
e incapace di lasciare un segno. Rimane il brand, e soprattutto rimangono i
soldi e il mercato… la speculazione che oggi muove non solo il sole e le altre
stelle, ma anche sterline, dollari ed euro dell'arte.
L’Arte che ammiriamo è il prodotto di una casta. Un
manipolo di pochi che creano, promuovono, acquistano, espongono e decretano il
successo dell’Arte. Quelli che hanno voce in capitolo saranno non più di
qualche centinaio. Quando si visita una galleria d’arte si è solo dei turisti
che osservano la vetrinetta dei trofei di qualche milionario. (Banksi)
È sotto gli occhi di tutti: il nome dell’artista conta
sempre di più, mentre l’arte che lo accompagna conta sempre meno. Oggi esistono
collezionisti disposti a pagare milioni per una banana attaccata al muro con lo
scotch, cifre che scultori del calibro di Auguste Rodin, Henry Moore o
Constantin Brancusi non hanno mai ricevuto in tutta la loro vita per
un’opera…che dire: tristi segni dei tempi! Questo accade quando il mercato è
dominato da chi compra con le orecchie anziché con gli occhi, attribuendo
valore a un'opera solo in base alla reputazione che la circonda. Si
demanda alla galleria il compito di determinare ciò che è arte e ciò che non lo
è. In questo modo, la galleria acquisisce la straordinaria capacità di
trasformare qualsiasi cosa in arte. Parlare di bellezza dentro un tale ambito è
più o meno come parlare di solidarietà e carità all'interno di una banca. Nel
2007 il Louvre concesse il suo marchio al Louvre Abu Dhabi Museum per la modica
cifra di 400 milioni di euro. Il dettaglio più sconcertante? Il nome del museo
costò molto più dell’edificio che lo ospita, la cui costruzione richiese
“appena” 115 milioni di dollari. Mai sottovalutare l’importanza di chiamarsi
Louvre!
Oggi la storia dell’arte non è più scritta dagli artisti o dai critici, ma da collezionisti con ampie disponibilità economiche che, nella maggior parte dei casi, non hanno alcuna reale conoscenza dell’arte. La nostra società consumistica ha distorto e svilito il significato della bellezza. L'iconoclastia contemporanea non distrugge le immagini come in passato, ma le svuota di significato in un'iper-produzione che annulla la capacità di vedere davvero. Un tempo, l'arte aveva il compito di raccontare storie e spiegare concetti a chi non sapeva né leggere né scrivere; oggi nella maggior parte delle esposizioni d’arte contemporanea si ricorre a didascalie infinite che spieghino per iscritto ciò che le immagini non sono più capaci di comunicare da sole. Il culto della bruttezza e della dissacrazione ha preso piede in un’epoca di benessere senza precedenti, quasi a dimostrare che l’abbondanza genera più disincanto che gratitudine. D'altro canto, guardando al passato, le opere d’arte più sublimi sono spesso nate proprio dalla desolazione e dalla sofferenza. Quando tutto sembrava perduto, artisti, scrittori e musicisti si sono aggrappati alla bellezza come a un’ancora, cercando in essa non solo conforto, ma anche un senso, una via per trascendere il dolore e illuminare l’oscurità. In quest’ottica la grande crisi che stiamo vivendo è un'occasione da non perdere, come scrive Victor Hugo: Ciò che fa notte dentro può lasciare in noi le stelle. La crisi, nel suo significato profondo, implica un "momento di frattura", una sospensione, ma anche un varco, un'opportunità. Quando le radici richiedono più spazio per espandersi, il vaso inevitabilmente cede. In fondo, la vita è più vasta di quella che riusciamo a comprendere, ed è per questo che si spezza. Ma questa è la sua natura: cresce, si frantuma e rinasce. È l'opportunità di abbattere vecchi schemi e consuetudini ormai ristagnanti e autoreferenziali; Solo così possiamo trasformarci da pianta sofferente in un albero rigoglioso, capace di fiorire con nuova forza, linfa e vitalità. Dobbiamo dunque superare la tirannia del consenso e del mercato, ribellarci alla logica del profitto come unico criterio di valore. Il successo non può essere la nostra unica ricompensa. L'artista ha il dovere di smascherare le contraddizioni del mondo, senza anteporre mai il consenso alla verità, senza seguire gli ascolti a scapito dei contenuti. Le vere opere d’arte nascono sempre dalla carne viva dell’esistenza, intrecciandosi alle gioie e alle sofferenze dell’umanità. Senza questa connessione, l’arte si svuota e si sradica, come alghe strappate alla corrente: ancora impregnate di iodio, ma ormai lontane dal respiro del mare.
Non leggiamo e scriviamo poesie perché è carino. Noi leggiamo e scriviamo poesie perché siamo membri della razza umana, e la razza umana è piena di passione. Medicina, legge, economia, ingegneria sono nobili professioni, necessarie al nostro sostentamento; ma la poesia, la bellezza, il romanticismo, l’amore, sono queste le cose che ci tengono in vita. (John Keating, "L'attimo fuggente")
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